Commento sentenza: Indeducibili le rimanenze di magazzino iscritte a costi specifici

1. La massima

Per le rimanenze valutate al costo specifico (d’acquisto o di produzione), il valore ai fini fiscali è rappresentato dal costo stesso, essendo irrilevanti le eventuali svalutazioni iscritte in bilancio. Infatti, la possibilità di procedere alla svalutazione del magazzino ai sensi del comma 5 dell’articolo 92 del TUIR è circoscritta alle sole rimanenze valutate con criteri forfettari. E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 21 aprile 2023 n. 10773. 

2. La normativa e le principali interpretazioni

Com’è noto I’articolo 92 del TUIR disciplina i criteri di valutazione fiscale delle rimanenze di magazzino ai fini delle imposte sui redditi. Occorre premettere che, in linea generale, le rimanenze di magazzino possono essere costituite da:

  • beni infungibili: sono tali quelli identificati e non scambiabili con altri, aventi specifiche caratteristiche, per i quali si conoscono i singoli costi delle unità immesse in magazzino, delle unità prelevate e di quelle in rimanenza. A queste tipologie di beni (per esempio i prodotti su commessa) è applicabile il criterio di valutazione a costi specifici (ovvero al relativo costo di acquisto o di produzione, come determinato ai sensi dell’articolo 110 del Tuir);
  • beni fungibili: per queste tipologie di beni, le giacenze a fine esercizio non possono essere riferite ad un particolare acquisto o ad un particolare lotto di produzione. Pertanto, ai fini della relativa valutazione, è necessario considerare i costi relativi a tutte le unità acquistate o prodotte nel corso dell’esercizio. Il criterio di valutazione previsto dall’articolo 92 del Tuir si applica a questo secondo tipo di beni, e comunque quando il contribuente rinuncia alla valutazione a costi specifici.

Ai fini della relativa valutazione:

a) i beni devono essere suddivisi in categorie omogenee per natura e valore;

b) alle categorie omogenee è necessario attribuire un valore non inferiore al minore tra:

  • il costo, determinato utilizzando uno dei criteri consentiti (Lifo a scatti, media ponderata, Fifo, varianti del Lifo);
  • il valore normale medio (determinato nell’ultimo mese dell’esercizio) da moltiplicare per la quantità dei beni contenuti nella categoria.

Vi è quindi libertà nella scelta del criterio di valutazione, purché il valore di ciascun gruppo di beni non sia inferiore a quello previsto dal legislatore fiscale.

Il minor valore attribuito ai beni assume rilevanza anche per gli esercizi successivi, a meno che le rimanenze non vengano iscritte nello stato patrimoniale ad un valore superiore. 

La rilevanza fiscale delle rivalutazioni, effettuate al fine di riassorbire precedenti svalutazioni, è subordinata all’effettiva iscrizione in bilancio della rettifica in aumento.

Con riferimento alla valutazione delle rimanenze si ricorda che la deducibilità degli sfridi di lavorazione è ammessa entro i limiti normali di ogni specifico settore (R.M. 14.10.1975, n. 9/50045).

Il comma 5 dell’articolo 92 del TUIR disciplina il trattamento fiscale delle eventuali svalutazioni di magazzino prevedendo che se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, (ovvero LIFO, LIFO a scatti annuali, FIFO, e costo medio ponderato) è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale.

Apparentemente i sopra citati criteri paiono coincidere con quanto previsto civilisticamente ma, in realtà, esistono delle differenze di fondo, considerato che, ai fini della valutazione delle rimanenze:

  • civilisticamente: occorre considerare il minore tra il costo e il relativo valore di mercato;
  • fiscalmente: è riconosciuto qualsiasi valore purché non inferiore al minore tra il costo e il valore normale dei beni nell’ultimo mese dell’esercizio.

Nello specifico: 

  • il valore di mercato cui si riferisce il codice civile è rappresentato del valore presunto di realizzo del magazzino in giacenza;
  • il valore normale rilevante ai fini fiscali è determinato base al disposto dell’articolo 9 del TUIR, ed è costituito dal prezzo da sostenere per la ricostituzione del magazzino (nella fattispecie in base alla media dei prezzi dell’ultimo mese dell’esercizio) e da determinare o facendo riferimento, ove possibile, alle tariffe del soggetto che fornisce i beni, alle mercuriali e ai listini delle Camere di Commercio. Per poter utilizzare il valore normale quale valore minimo di valutazione è necessario fornire una prova rigorosa e di tipo documentale circa l’effettiva vendita ad un prezzo inferiore al valore normale. Pertanto, nessuna svalutazione fiscale può essere effettuata in caso di contrazione dei costi della produzione dell’ultimo trimestre dell’anno.

Il minor valore attribuito alle rimanenze secondo le modalità sopra descritte può essere mantenuto anche negli esercizi successivi a condizione che (articolo 92, comma 5, TUIR):

1) siano ancora valide le condizioni che ne hanno consentito la prima determinazione; 

2) le rimanenze non siano iscritte nello stato patrimoniale ad un valore superiore. 

Pertanto, se queste condizioni non sono verificate, viene meno la possibilità di mantenere in bilancio la valorizzazione al valore normale, con conseguente tassazione di questo maggiore valore (circolare ministeriale 27 maggio 1994 n. 73/E, risposta 3.26).

Con riferimento alle modalità di svalutazione fiscale delle rimanenze valutate a costi specifici occorre considerare che:

  • il comma 5 dell’articolo 92 prevede la possibilità di svalutare a valore normale i beni in rimanenza unicamente con riferimento alle rimanenze finali determinate con il criterio del “valore unitario medio dei beni” sulla base di quanto contenuto nei commi 2, 3 e 4 del medesimo articolo;
  • (di conseguenza) per i beni che sono stati valutati a “costi specifici”  l’eventuale svalutazione effettuata civilisticamente non è riconosciuta ai fini fiscali. 

A quest’ultimo riguardo, con la norma di comportamento n. 168 del giugno 2007, l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti di Milano aveva affrontato la questione connessa alla possibilità di effettuare, ai fini della valutazione fiscale delle rimanenze di magazzino, il confronto tra il costo storico d’acquisto (ovvero il c.d. “costo specifico”) ed il relativo “valore normale” così come risultante alla fine dell’esercizio attraverso l’adozione dei criteri previsti dall’articolo 9 del TUIR. Nello specifico, secondo l’ADC, il mancato richiamo, nell’ambito dell’articolo 92, comma 5, primo periodo, del DPR 917/86, ai beni valutati a costo specifico non dovrebbe precludere che, ai fini della valutazione, al termine dell’esercizio, il relativo valore debba essere comunque confrontato con il valore normale di ciascuno di essi, per tale intendendo il valore ad essi oggettivamente attribuibile, secondo la previsione dell’articolo 9 del Testo Unico, applicando, in sede di determinazione del reddito, ai sensi dell’articolo 83 del DPR n. 917/86, il minore tra i due importi, secondo il principio stabilito dall’articolo 2426, n. 9, del codice civile.

Tuttavia, sulla questione, nella risoluzione 12 novembre 2013 n. 78/E, l’Amministrazione finanziaria si è espressa in senso opposto, ribadendo il proprio orientamento favorevole all’irrilevanza fiscale delle eventuali svalutazioni delle rimanenze che sono valutate a costo specifico. In tal senso, infatti, secondo l’Agenzia delle Entrate, con il mancato richiamo ai beni valutati a costi specifici nell’ambito del comma 5 dell’articolo 92, il legislatore avrebbe voluto individuare una specifica disciplina fiscale con esclusivo riferimento ai soli beni valutati con criteri di determinazione alternativi al costo, per i quali è stata riconosciuta la possibilità di procedere alla relativa svalutazione. 

Tenuto conto di quanto sopra, quindi, con riferimento ai beni valutati al costo di acquisto, secondo l’interpretazione contenuta nella risoluzione 78/E/2013, la relativa svalutazione iscritta in bilancio non dovrebbe assumere rilevanza ai fini IRES, in ciò rendendo necessario operare una “variazione in aumento” ai fini della determinazione del reddito imponibile in misura corrispondente. Coerentemente con questa interpretazione, anche nella successiva circolare 14 maggio 2014 n. 10/E, l’Agenzia delle Entrate ha confermato l’irrilevanza fiscale degli eventuali maggiori valori delle rimanenze di beni valutate a costo specifico (per completezza, sul tema, segnaliamo anche il documento n. 1 del 13 maggio 2011 di Assonime. In linea con l’orientamento ministeriale). 

3. La sentenza 

Nella sentenza 21 aprile 2023 n. 10773 la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate, escludendo la possibilità di applicare la svalutazione fiscale prevista dall’articolo 92, comma 5, del TUIR (ovvero il criterio del minore tra il valore di mercato ed il costo specifico) alle rimanenze di magazzino che sono valutate a costi specifici (e quindi per i beni diversi da quelli fungibili).   Questa conclusione è stata affermata per ragioni di ordine sistematico e letterale considerato che:

  • la normativa fiscale prevede espressamente la possibilità di adottare il criterio del minore tra il valore di mercato o di possibile realizzo ed il costo specifico per i soli beni che sono raggruppabili in categorie omogenee per natura e per valore e assumendo a riferimento l’ultimo mese dell’esercizio (e non l’intero esercizio);
  • il legislatore tributario ha da sempre individuato criterio autonomi rispetto a quelli di redazione del bilancio, in ciò rendendo impossibile giustificare la diversa valutazione fiscale sulla base del principio di derivazione rafforzata previsto dall’articolo 83 del TUIR. 

L’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione appare eccessivamente penalizzante, considerato che l’articolo 92 del TUIR non vieta la deducibilità della svalutazione dei beni iscritti tra le rimanenze a costi specifici, tale per cui, in questo caso, dovrebbe potersi applicare il principio di derivazione previsto dall’articolo 83 del TUIR con conseguente rilevanza fiscale della valutazione effettuata ai fini civilistici ai sensi dell’art. 2426, c. 1, n. 9, c.c. (minore tra costo d’acquisto o produzione e valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato).   

Related Posts

Calendario Corsi Live

Nessun evento trovato!

Archivio