DIREZIONE E COORDINAMENTO: IL CASO AQua Chiara
A cura dell’Avv. Lorenzo della Bella

PREMESSE

Sulla scorta delle indicazioni della L.366/01(Legge delega), con la riforma del diritto societario D.Lgs. n.6/03) viene introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina volta a regolare alcuni degli aspetti più salienti del fenomeno dei gruppi di società. 

Questo fenomeno, nato e diffusosi nella prassi, consiste nell’aggregazione di più società, formalmente autonome ed indipendenti, ma assoggettate ad una direzione unitaria: ossia tutte sottoposte all’influenza dominante di un unico soggetto, che, direttamente o indirettamente le controlla, e di fatto coordina e dirige la loro attività di impresa secondo un disegno unitario. 

È stato messo in evidenza come il gruppo corrisponda sostanzialmente ad un’unica impresa sotto il profilo economico e a più imprese dal punto di vista giuridico-formale. 

La descrizione di cosa si intenda per gruppo, sebbene riferita principalmente al modello c.d. gerarchico, non esclude quelle aggregazioni di società ove l’attività di direzione e coordinamento si attua senza vincoli di subordinazione tra le società, i c.d. gruppi orizzontali o paritetici.

Si tratta dunque di un corpo di norme applicabile in presenza di una struttura imprenditoriale di gruppo, a prescindere dalla forma giuridica degli enti che lo costituiscono (che potranno essere, dunque, s.p.a., s.r.l. o anche società di persone).

In questo ambito, in particolare, assumono specifico rilievo le esigenze di tutela di chi abbia fatto credito ad una società del gruppo e di chi, i c.d. soci esterni, partecipi ad una società, senza però partecipare anche alle altre società del gruppo (e prima di tutto alla capogruppo), trattandosi in entrambi i casi di soggetti i cui interessi sono legati esclusivamente all’andamento della singola società e non del gruppo nel suo complesso e che, pertanto, possono risultare direttamente pregiudicati di fronte a scelte della capogruppo che, seppure vantaggiose per il gruppo, risultino dannose per la società di cui essi siano creditori o soci.

A questo proposito la l. delega, aveva indicato tra i criteri direttivi della riforma in materia di gruppi (art. 10, L.n.366/01) proprio l’intento di «assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di quest’ultime».

Il legislatore non fornisce una definizione di gruppo, né a ben vedere utilizza il termine gruppo di società, riferendosi esclusivamente all’attività che caratterizza detta organizzazione, vale a dire l’attività di direzione e coordinamento.

La relazione di accompagnamento alla legge delega afferma infatti che non si è ritenuto opportuno dare o richiamare una qualunque nozione di gruppo o di controllo per due ordini di ragioni: in primo luogo, perché è apparso chiaro che le innumerevoli definizioni di gruppo già esistenti fossero funzionali a problemi specifici e quindi inadatte a contemplare il fenomeno nel suo complesso così come qualunque nuova nozione si sarebbe comunque dimostrata inadeguata all’incessante evoluzione della realtà sociale, economica e giuridica.

La mancanza di una definizione di gruppo è poi ancorata all’idea che il problema centrale del fenomeno dei gruppi sia quello della responsabilità della capogruppo nei confronti dei soci e dei creditori sociali della società soggetta all’altrui direzione o coordinamento e che, al fine dell’affermazione di tale responsabilità, rilevi il semplice fatto dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, rimanendo invece indifferente la fonte dalla quale deriva tale potere (il che risponde al principio della necessaria correlazione tra potere e responsabilità). 

PRESUNZIONI DI DIREZIONE E COORDINAMENTO 

L’accertamento dell’esercizio di questa attività risulta pertanto un presupposto essenziale per l’applicazione della disciplina in questione.

La legge tuttavia, pone alcune presunzioni al fine di facilitarne la prova. 

In virtù di tale disposizione, l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento deve infatti considerarsi presunto, salvo prova contraria, nella società o ente tenuto al consolidamento dei bilanci o che comunque controlla altre società ai sensi dell’art.2359 c.c.

Già prima della riforma la dottrina aveva individuato come elemento caratterizzante il fenomeno del gruppo di società l’esercizio in concreto da parte della società capogruppo di un potere di direzione sulle società appartenenti al gruppo stesso.

Nel concetto precedente e simile c.d. “ di direzione unitaria” era stata ricompresa l’attività di amministrazione dell’intero gruppo, considerato quest’ultimo come lo strumento di gestione di una sola impresa dal punto di vista economico. 

L’esercizio di tale attività consiste dunque nello svolgimento di compiti direttivi e di funzioni amministrative inerenti alle diverse società del gruppo; il riferimento ai principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria, effettuato dall’art.2497, conferma che si tratta dell’esercizio di un’attività in senso lato gestoria. 

L’espressione utilizzata dal legislatore sembra comunque confermare come questa attività possa risolversi anche in una semplice attività di coordinamento delle società; già dunque nel collegare la direzione di tutte le imprese del gruppo, in maniera da armonizzare i fini e le singole operazioni, si può riscontrare la manifestazione concreta della direzione unitaria.

Occorre inoltre rilevare come, nel configurare la fattispecie, il legislatore abbia fatto riferimento ad una “attività”; da ciò si desume che l’ingerenza nella gestione delle capogruppo è concepita come una attività sistematica o continuativa, non viceversa come un unico atto isolato o occasionale.

La norma prevede tuttavia che, in presenza di una relazione di controllo, possa presumersi, salvo prova contraria, l’esercizio di quella ulteriore attività che consiste nella direzione e coordinamento. In tal modo, viene dato atto della distinzione tra controllo e effettiva attività di direzione; peraltro, nel presumere (salvo prova contraria) la direzione in caso di controllo viene recepito un dato di comune esperienza, poiché spesso al controllo è generalmente abbinato l’esercizio dell’attività di direzione.

L’art.2359 c.c., che non ha subito modifiche con la riforma, contempla tre ipotesi di controllo, in parte già ricomprese col richiamo alle situazioni in cui sussiste un obbligo di redigere il bilancio consolidato.

La fattispecie del controllo ricorre, secondo quanto dispone l’articolo citato, quando:

  1. l’entità della partecipazione è tale da garantire alla società che la possiede la disponibilità della maggioranza assoluta dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (vale a dire il 50% più uno dei voti) – si parla, in questo caso di controllo di diritto perché chi detiene una simile partecipazione è certamente in grado di nominare e revocare gli amministratori ed approvare le proposte portate all’esame dell’assemblea ordinaria. 
  2. la partecipazione, anche se non di maggioranza assoluta, sia comunque tale (in ragione per esempio dell’alto frazionamento dell’azionariato) da attribuire alla società che la detiene voti sufficienti per garantirle nell’assemblea ordinaria la possibilità di determinare lo svolgimento dell’attività della società partecipata. 
  3. una società esercita un’influenza dominante su un’altra in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa c.d. controllo esterno; ad esempio, nelle ipotesi di controllo dovuto a contratti di agenzia, franchising, licenza di brevetto, know-how, contratti di somministrazione, contratti bancari o più in generale, quando sussistono rapporti contrattuali le cui prestazioni siano essenziali per l’attività della società sottoposta e dunque per la sua sopravvivenza, così da creare una situazione di dipendenza economica.

Il ricorso al meccanismo presuntivo – il quale implica che da un fatto certo se ne deduca un altro ignoto – non sembrerebbe invece particolarmente utile, dal momento che il controllo stesso è in questi casi un fatto da dimostrare in concreto: vale a dire che va provato che attraverso la partecipazione, oppure attraverso particolari vincoli contrattuali con la società, si esercita un’influenza determinante sull’attività della società. 

È vero tuttavia che, nonostante permanga la necessità di provare concretamente il controllo, la prova da fornire sarà più attenuata, e quindi più facile, non dovendo spingersi fino a richiedere la prova dell’effettivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. 

Sarà infatti sufficiente provare il dominio dell’assemblea o quello economico, non sarà invece necessario dimostrare che i poteri che da tali vincoli derivano alla controllante si siano estesi in concreto fino a manifestarsi in un flusso costante di istruzioni dirette a condizionare le operazioni della controllata. 

Si deve rilevare, infine, come l’articolo in esame si limiti a tracciare alcune presunzioni senza definire il fenomeno stesso e senza dunque precludere che altri indici significativi concorrano a provare l’esistenza della direzione unitaria.

La dottrina rileva in punto di indicatori, (i) la composizione dei consigli di amministrazione (ii) la pubblicità di cui all’ art.2497 bis c.c., (iii) la motivazione delle decisioni ai sensi dell’ art.2497 ter c.c., (iv) la formulazione di budget di gruppo, (v) l’adozione di piani di garanzie intragruppo, (vi) la predisposizioni di organigrammi di rischio di gruppo, (vii) la formulazione di codici di comportamento di gruppo.

Quanto alla pubblicità della direzione e coordinamento, è evidente che la responsabilità possa sorgere a prescindere dagli adempimenti pubblicitari imposti per tutelare la trasparenza dell’appartenenza o meno ad un gruppo, non solo perché il semplice esercizio di fatto dell’attività di direzione e coordinamento, come si è detto, costituisce il punto di riferimento della disciplina legislativa, ma anche perché tali oneri sono posti a carico degli amministratori, i quali potrebbe avere altrimenti un interesse a non attuarli (per esonerare la capogruppo da ogni responsabilità), a fronte di un costo che, come denunciato da alcuni commentatori, rimane incerto, sebbene l’ art.2497 bis c.c. preveda la responsabilità degli amministratori per i danni che la mancata conoscenza abbia recato ai soci o terzi.

Quanto al secondo aspetto, è da escludere che, data tra l’altro la sua natura dichiarativa, la pubblicità – da attuarsi a cura della società soggetta – possa costituire di per sé titolo su cui fondare necessariamente la responsabilità della capogruppo, essendo come si è detto, il presupposto per l’applicazione della disciplina in esame l’esercizio “di fatto” dell’attività di direzione e coordinamento .

RESPONSABILITA’

La regolamentazione dei profili di responsabilità della capogruppo è indicata dalla stessa relazione di accompagnamento alla legge di riforma come «il problema centrale del fenomeno del gruppo».

L’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento rappresenta un fatto naturale e fisiologico, di per sé quindi legittimo, e che non implica, né richiede, il riconoscimento o l’attribuzione di particolari poteri. Tuttavia, prevedendo in presenza di determinate condizioni la responsabilità di chi esercita una simile attività, se da un lato ne legittima l’esercizio, dall’altro lato ne individua anche i limiti e i confini

Viene così riconosciuta la possibilità di configurare la responsabilità della capogruppo indipendentemente dall’insolvenza della società soggetta a direzione (tra tante Trib. Milano 22/1/01) “Perché sussista responsabilità degli amministratori della società controllante occorre verificare la presenza di disegno imprenditoriale che, nell’abuso della direzione unitaria, scientemente ignori l’individualità della singola impresa, danneggiando i soci di minoranza e i creditori sociali; oppure la Cass. Pen. n.10688/04 “A partire dal 1° gennaio 2004, nel nostro ordinamento giuridico è ormai configurabile l’impresa di gruppo. La direzione unitaria del gruppo vulnera il principio, finora imperante, di autonomia patrimoniale delle singole società controllate, in quanto l’art. 2497 c.c. configura una vera e propria responsabilità dell’impresa-holding (individuale o societaria), nei confronti dei soci e dei creditori sociali delle società controllate, per fatti riferibili al loro patrimonio, ma riconducigli ad una mala gestio unitaria del gruppo. In questo contesto, la norma di cui all’art. 2634 comma 2 c.c. costituisce una sorta di anticipazione del concetto unitario di gruppo e trova oggi una piena coerenza sul piano civilistico e penalistico

SOGGETTI RESPONSABILI

La norma identifica come soggetti responsabili “le società o gli enti” che esercitano l’attività di direzione e coordinamento, sottolineando in tal modo l’irrilevanza della struttura organizzativa assunta dalla capogruppo, che potrà essere quindi una società di capitali, una società di persone o un qualsiasi altro ente – associazione, fondazione o ente pubblico.

Si pone dunque il problema di verificare se, a seguito di questa diversa formulazione, non sia più possibile applicare la disciplina in esame anche nel caso in cui l’attività di direzione sia esercitata da una persona fisica; dubbio ormai fugato dalla dottrina e giurisprudenza.

Ove più persone fisiche abbiano svolto attività di direzione e controllo di società a responsabilità limitata agendo nell’interesse imprenditoriale proprio in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sussiste la responsabilità di tali persone nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata al patrimonio della società e se fra di esse è ravvisabile una società di fatto svolgente attività di impresa la quale abbia assunto, in virtù dell’art. 2497 c.c., obbligazioni risarcitorie quantomeno nei confronti dei creditori delle società fallite per i danni subiti, tale società di fatto, laddove ne sia dimostrata l’insolvenza, può senz’altro essere dichiarata fallita” (Tribunale di Vicenza 23/11/06).

RESPONSABILITÀ SOLIDALE

La disposizione inoltre deve intendersi come riferita anche agli amministratori della holding, che, quali soggetti attraverso cui viene esercitato istituzionalmente il potere di direzione, potranno rispondere in solido con la capogruppo. Il coinvolgimento degli amministratori della capogruppo risulta opportuno, risolvendosi in uno strumento destinato a promuovere un più attento esercizio delle loro prerogative. Così formulata la norma, peraltro, pur facendo salva la funzione deterrente e comminatoria della responsabilità gravante sulle persone fisiche che ricoprono nella capogruppo la carica di amministratori, permette a tali soggetti di dimostrare eventualmente che l’attività di direzione non è ad essi imputabile.

Sulla responsabilità degli amministratori della società Diretta e Coordinata sarebbe possibile configurare una responsabilità della capogruppo anche a prescindere dalla mala gestio degli amministratori della dominata nel caso in cui la capogruppo abbia indotto gli amministratori della dominata ad intraprendere onerose operazioni sulla promessa – risultante da documenti – dell’erogazione degli adeguati mezzi finanziari, poi mancati; al contrario, sarebbe irragionevole imputagli la responsabilità quando il danno sia dipeso da fattori da lui non controllabili, come ad esempio quando le operazioni compensative previste non vengano poi effettuate o il piano di azione strategico del gruppo sulla base del quale erano state adottate e motivate le decisioni non venga poi volutamente o negligentemente mantenuto o realizzato. 

Potrebbe inoltre concorrere la responsabilità solidale anche dei soci della capogruppo che abbiano autorizzato gli amministratori ad attuare le operazioni fonte del danno lamentato dai soci e creditori; più in generale potrebbe configurarsi la responsabilità di chi esercita il potere di direzione e coordinamento in via di fatto, come l’amministratore di fatto, il socio di controllo o il detentore di una partecipazione qualificata della capogruppo, oppure i partecipanti ad un patto di sindacato o, addirittura, un creditore “forte” (ad esempio una banca), quando si accerti che abbia concorso a far assumere la scelta gestoria pregiudizievole (Cass.12979/15)

(Cass.2952/15) “La formale esistenza di un gruppo, con conseguente assetto giuridico predisposto per una direzione unitaria, e l’amministrazione di fatto di singole società del gruppo stesso non sono situazioni incompatibili poiché mentre la prima corrisponde ad una situazione di diritto nella quale la controllante svolge l’attività di direzione della società controllata nel rispetto della relativa autonomia e delle regole che presiedono al suo funzionamento, la seconda, invece, corrisponde ad una situazione di fatto in cui i poteri di amministrazione sono esercitati direttamente da chi sia privo di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita. Ne consegue che un soggetto, cui pure siano attribuiti poteri di direzione in quanto amministratore di una “holding” (o in quanto socio di una società di fatto che ne svolge le funzioni), può, di fatto, esercitare poteri di amministrazione e, al contempo, disattendendo l’autonomia della società controllata e riducendo i relativi amministratori a meri esecutori dei suoi ordini, comportarsi come se ne fosse l’amministratore, pur utilizzando, formalmente, gli strumenti propri della direzione unitaria, quali le direttive, sicché egli risponde delle condotte relative all’amministrazione delle società controllate”; decisione che cassa e decide nel merito, Trib. Napoli, 19/05/2008).

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