Reati presupposto 231

Sensibilmente innovando rispetto alla concezione tradizionale secondo cui solo le persone fisiche possono commettere reati, il Decreto Legislativo 231/01 ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità da reato delle persone giuridiche.

Tale responsabilità sorge per effetto della commissione di un reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente da parte di soggetti che, nella sua struttura organizzativa, ricoprono una posizione apicale o sono sottoposti alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti apicali; è inoltre necessario che l’ente non abbia adottato un efficace modello di organizzazione e gestione che sarebbe stato idoneo a prevenire reati come quello commesso.

Integrati tali presupposti, l’ente può vedersi comminate sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, la confisca del prezzo o del profitto del reato, nonché la pubblicazione della sentenza di condanna.

Affinché all’ente sia addebitabile la responsabilità di cui al Decreto Legislativo 231/01, non è sufficiente la commissione di un qualunque reato da parte dei soggetti che si sono sopra menzionati, ma è necessario che il reato commesso rientri nel catalogo di cui al decreto. Non essendo in questa sede possibile una compiuta trattazione della variegata elencazione dei reati presupposto della responsabilità in parola, ci si limiterà a soffermarsi su alcuni di essi, con la precisazione che trattasi perlopiù di reati contro la Pubblica Amministrazione, in materia societaria, tributaria, informatica e ambientale.

Assai frequente nella prassi è la contestazione all’ente dell’avvenuta commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, del delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., che è il reato commesso da chi, per conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti. Trattandosi di reato che presuppone il compimento di una pluralità di operazioni e, soprattutto, l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, è fisiologico che esso venga commesso nell’ambito di un’attività d’impresa. Esiste, infatti, un’indubbia assonanza tra i caratteri della condotta descritta dall’art. 452-quaterdecies c.p. e i requisiti dell’attività dell’imprenditore ex art. 2082 c.c.: ciò, ovviamente, non significa che per la configurabilità del reato in parola sia necessaria, in capo al soggetto attivo, la qualifica di imprenditore, trattandosi di reato comune, ma ciò non toglie che il requisito dell’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate risulterà facilmente integrato «a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale».

Discorso analogo vale per i reati commessi con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: anche in tal caso, infatti, è del tutto fisiologico che le condotte illecite si iscrivano in un contesto imprenditoriale. Tale materia è stata oggetto di una recentissima pronuncia della Corte di cassazione, che si è soffermata sui presupposti in presenza dei quali è possibile sostenere che i reati in parola siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Ebbene, la Corte ha affermato, richiamando i principi già enunciati in relazione al noto caso “Thyssenkrupp”, che tali reati possono dirsi commessi nell’interesse dell’ente quando l’omessa adozione di cautele antinfortunistiche non è sintomatica di «una semplice sottovalutazione del rischio», ma risponde piuttosto a «una consapevole scelta volta al risparmio dei costi e dei tempi di lavoro». Analogamente, può dirsi che il reato sia stato commesso a vantaggio dell’ente quando le negligenze in materia di sicurezza sul lavoro siano ascrivibili «alla precisa scelta aziendale di contenimento della spesa e di massimizzazione del profitto».

In altri termini, affinché sia in quest’ambito integrato il criterio soggettivo di imputazione della responsabilità all’ente, è necessario che quest’ultimo abbia consapevolmente perseguito una strategia aziendale improntata alla riduzione dei costi in materia di prevenzione, al preciso fine di massimizzare i profitti.

Infine, merita soffermarsi sui rapporti tra la responsabilità ex Decreto Legislativo 231/01 e il delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 c.p. Trattasi del reato commesso dall’autore di un delitto non colposo che impiega, sostituisce o trasferisce le utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da celarne l’illecita provenienza. L’inserimento di tale delitto tra quelli idonei a fondare la responsabilità dell’ente ha fatto sorgere un problema interpretativo ancora irrisolto: affinché l’ente risponda del reato di autoriciclaggio, è necessario che anche il delitto presupposto rientri nel catalogo di cui al Decreto Legislativo 231/2001? 

Secondo alcuni, sì, pena l’assoluta indeterminatezza dei comportamenti che i modelli di organizzazione e gestione devono prevenire. Secondo altri, invece, no, dal momento che, in ogni caso, l’ente non dovrebbe «preoccuparsi dell’area di rischio penale a monte di tale reato, ma piuttosto rafforzare gli strumenti per contrastare il rischio che il soggetto intraneo possa investire in attività economiche, finanziarie etc. dei proventi delittuosi».

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