RICICLAGGIO – L’elemento soggettivo del reato

L’articolo 648 bis comma 1 Codice Penale prevede la forma base del reato di riciclaggio:  “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000”.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, sul piano dell’oggetto del dolo il delitto in parola è punito a titolo di dolo generico, poiché la norma incriminatrice richiede che l’agente sia consapevole che il denaro, i beni o altre utilità provengano da un delitto presupposto (o da una contravvenzione, nel caso previsto dal secondo comma), nonché la consapevolezza e la volontà di compiere la condotta di sostituzione, trasferimento o altra operazione capace di ostacolare l’identificazione della loro origine criminosa.  

Per quanto concerne invece il grado del dolo la Giurisprudenza (di merito e di legittimità) ha più volte chiarito come il reato in argomento possa ritenersi integrato anche a titolo di dolo eventuale, allorquando il soggetto attivo del reato, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che ne possono derivare, accetta che il fatto di reato possa verificarsi.

Particolarmente interessante, sul punto, un caso giudicato abbastanza di recente dalla Corte d’Appello di Roma, Seconda Sezione Penale, con sentenza 14/01/2020, n. 64. 

Nel caso in esame, in data 28 Novembre 2018 il Tribunale di Tivoli condannava Tizio alla pena di due anni di reclusione e 3.000 euro di multa per il delitto di riciclaggio. 

Avverso tale sentenza proponeva appello il difensore dell’imputato.

Secondo il primo motivo di appello il sig. Tizio doveva essere assolto perché il fatto non sussiste o per non avere commesso il fatto, in quanto lo stesso si era limitato ad accettare, in buona fede, l’offerta di lavoro inviatagli, per via telematica, da una società ucraina; sulla scorta di ciò l’ imputato avrebbe quindi dovuto svolgere mansioni di intermediazione in operazioni di commercio per la vendita di software, ricevere i pagamenti per conto della società e provvedere al pagamento dei subappaltatori.

Ebbene, la Corte d’Appello ha ritenuto il predetto motivo di appello infondato, poiché, si legge nella sentenza, ad avviso della Corte – come già rilevato dal giudice di primo grado – Tizio, dopo aver ricevuto sul proprio conto corrente bancario un bonifico dell’importo di 3.000 euro, proveniente dalla società X a lui sconosciuta, aveva immediatamente provveduto a trasferire tale somma, dedotto un compenso pari all’ 8 %, tramite altri due soggetti, in favore di due cittadini stranieri. Tale comportamento è sicuramente connotato da dolo, almeno eventuale, dovendosi ritenere provato che, con la sua condotta, l’imputato abbia perlomeno accettato il rischio della provenienza delittuosa del denaro trasferito agli sconosciuti cittadini ucraini. La somma – si legge nella sentenza in argomento – costituiva infatti il provento del delitto di frode informatica in danno dell’amministratore della predetta società X, come già appurato nel corso del precedente grado di giudizio. Secondo la Corte, la versione difensiva fornita da Tizio., secondo cui egli aveva stipulato un contratto, tramite internet, con la società ucraina operante nel campo della produzione e vendita di software, in base al quale lo stesso imputato avrebbe dovuto occuparsi di ricevere, per conto della stessa, bonifici bancari e, dopo avere trattenuto una provvigione dell’8 %, trasferire in Ucraina il denaro in contanti tramite due soggetti sconosciuti, non può essere accolta. Deve infatti affermarsi, al riguardo – prosegue la Corte – il principio che chiunque accetti di far transitare sul proprio conto corrente somme di denaro provenienti da soggetti sconosciuti e provveda subito dopo a trasferire le somme stesse in favore di persone sconosciute accetti quantomeno il rischio di compiere operazioni volte a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro. 

La Corte d’appello ha infatti ricordato come la giurisprudenza di legittimità ha costantemente sostenuto che l’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio, costituito dal dolo generico di trasferire il denaro per impedire l’identificazione della sua provenienza, può essere integrato anche dal dolo eventuale (Cass., sez. II, 26 novembre 2013, n. 8.330 del 2014; Cass., sez. V, 17 aprile 2018, n. 21.925; Cass., sez. II, 28 maggio 2018, n. 36.893).

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