Il delitto di inquinamento ambientale è previsto e punito dall’articolo 452 bis Codice Penale, secondo cui “È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
- delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
- di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.
Ebbene, recentemente la Corte di Cassazione, Sezione III penale, con la sentenza 5 settembre 2022, n. 32498 si è pronunciata in materia di delitto di inquinamento ambientale chiarendone i confini applicativi.
Il caso deciso dalla Suprema Corte prende le mosse dal ricorso per Cassazione, presentato dall’indagato, avverso un’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Lecce confermava il sequestro preventivo di un terreno adibito all’estrazione di materiali inerti, in relazione alla contravvenzione di abusiva coltivazione di cava e, appunto, al delitto di inquinamento ambientale.
Tra i vari motivi del ricorso per Cassazione figura quello in virtù del quale l’indagato lamentava violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 452-bis Codice Penale e vizio di motivazione per travisamento della prova in punto di ritenuta configurabilità del delitto di inquinamento ambientale, poiché, secondo la tesi difensiva, il Tribunale del Riesame avrebbe erroneamente ritenuto configurabile il fumus del delitto di inquinamento ambientale a fronte di un’attività estrattiva durata pochi mesi e consistita nello scavo del terreno e nel mero scorticamento meccanico dello strato superficiale tufaceo, che non aveva provocato immissioni tossiche di gas nocivi idonee a compromettere significativamente la qualità dell’aria, né aveva comportato sversamenti sul suolo o infiltrazioni nel sottosuolo di sostanze inquinanti causativi del deterioramento dei corpi recettori o dell’inquinamento della falda acquifera.
Ebbene, la Suprema Corte ha ritento infondato il predetto motivo di ricorso, in quanto lo scorticamento dello strato tufaceo riscontrato nel terreno condotto in locazione dall’indagato, essendo esteso ad un’area di circa 1.000,00 metri quadrati. e profondo non meno di 4/5 metri, aveva comportato un evidente deterioramento del fondo in cui l’attività estrattiva era svolta, inteso come decadimento delle sue caratteristiche qualitative, con la conseguente configurazione del fumus del delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis c.p.
Ed è proprio in questo passaggio che la Suprema Corte da un lato ha richiamato quanto già chiarito dalla Giurisprudenza di legittimità, secondo cui il delitto di inquinamento ambientale costituisce un reato di danno che non tutela la salute pubblica, ma l’ambiente in quanto tale e presuppone l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova fattispecie incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito, nè l’espletamento di specifici accertamenti tecnici (in tal senso Cassazione Penale, Sezione Terza, numero 50018 del 19/09/2018 e Cassazione Penale, Sezione Terza, numero 28732 del 27/04/2018); dall’altro ha ribadito come “La compromissione e il deterioramento di cui al delitto di inquinamento ambientale… consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della compromissione, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio strutturale, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi” (in tal senso già Cassazione Penale Sezione Terza, numero 46170 del 21/09/2016).
La sentenza in commento pare pertanto fare il punto sulla definizione di danno all’ambiente richiesto ai fini della configurabilità del delitto di cui all’articolo 452 bis Codice Penale; danno inteso come “compromissione” o “deterioramento” intesi, rispettivamente, come alterazioni, significative e misurabili, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, che non richiedono, tuttavia, per poter essere “apprezzate”, l’espletamento di specifici accertamenti tecnici.
Più precisamente, e per distinguere tra le due forme di alterazione, la sentenza in commento ha chiarito che, nel caso della “compromissione”, vi sarebbe una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi, mentre nel caso del “deterioramento” vi sarebbe una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi.